Il Gran Sasso d'Italia, versante sud-ovest

La catena oggetto di questo tomo presenta le cime più elevate dell'intero Appennino Centrale, fra le quali quella di Monte Corno, alta 2914 m, massima quota dell'Italia peninsulare. Il Gran Sasso d'Italia - questo è il nome ufficiale e da tempo consolidato della catena - si estende a cavallo dell'Abruzzo interno (provincia dell'Aquila) e di quello adriatico (provincie di Teramo e Pescara). In questa sede si tratta della sola porzione della catena che guarda la vallata aquilana. Ed ancora, questo versante è stato suddiviso in due tronchi, separati da un allineamento trasversale che concide in buona parte con i confini comunali dell'Aquila. Il primo tronco, oggetto specifico del III tomo della TAC, comprende dunque i comuni di Pizzoli (fraz. Marruci), L'Aquila (circ. Arischia; fraz. Pettino, Collebrincioni, Chiarino; circ. Camarda, fraz. Aragno, Assergi, Filetto, San Pietro della Ienca; circ. Paganica, fraz. Pescomaggiore), per un totale di 9 tenimenti.

L'area di indagine comprende il versante meridionale del Parco Nazionale del Gran Sasso d'Italia - Monti della Laga (abbreviato all'occorrenza PNGS-ML), ed inoltre una fascia pedemontana delimitata a valle da una linea ideale che parte da Marruci per toccare l'abitato di Arischia. Da questo centro, essa si dirige a San Vittorino, poi piega verso est passando appena a monte dei nuovi quartieri in località Canzatessa e Pettino, alle porte dell'Aquila. Escludendo i rioni a nord del capoluogo (San Sisto, ecc.), sale sopra San Giacomo, da dove segue una curva di livello di circa 900 m fino all'interpoderale Camarda-Aragno; riprende poi il tracciato autostradale della A24 fino ad Assergi, dal cui abitato sale a monte di una fascia boschiva, includendo le zone attorno a Filetto. Escludendo Paganica e i suoi dintorni, il territorio considerato comprende invece il villaggio di Pescomaggiore e le zone a valle di questo, fino all'insellatura che sta sotto il Monte Manicola. Da qui, giunge in breve alla Valle Marra che costituisce per un tratto il confine comunale fra L'Aquila e Barisciano. I territori oltre la valle saranno trattati, per convenzione, nel successivo Tomo IV.

La toponomastica

La catena della quale l'area appena individuata costituisce uno dei tre versanti nei queli essa è stata suddivisa in quest'opera fornisce uno dei rari esempi di coronimi (o oronimi) attribuiti in data precisa e da un ben individuato 'battezzatore'. Il nome Gran Sasso fu infatti coniato dall'autore di Monterale Zucchi nel suo poemetto satirico 'la Tabaccheide', e ripreso almeno a partire dall'Atlante di Rizzi-Zannoni (1808) nella cartografia.

Quanto ai principale monti che costituiscono la catena, in autori precedenti al citato (Bulifon, Blaeu, Magini, Zaballi) non si hanno riscontri toponomastici, a parte quello di Monte Corno, e di qualche coronimo. Nell'Atlante di Rizzi-Zannoni, invece, compaiono il Monte San Franco, le Male Coste, la Portella, il M. Cristo, il Rofano, la Ruzza sull'allineamento principale, nonché diversi altri toponimi relativi alle dorsali minori. Si tratta di ben noti oronimi, trasmessi dalla usanza paesana e dalla cartografia ufficiale fino ai giorni nostri, nella loro accezione corretta. Il successivo Atlante di Marzolla non aggiunge nulla alla precedente rassegna; solo con le edizioni dell'Istituto Geografico Militare di fine secolo (1884, 1897) compaiono i nomi del M. Jenga, ripreso da quello del diruto castello della Ienca, o Genca, che si trovava non lontano dalle sue pendici, del M. Stabiata, dal nome della regione sommitale detta dai locali la stabbiàta, nonché quello di M. Corvo, attribuito ad una delle vette più elevate della catena, fino ad allora chiamata (Rizzi-Zannoni, Marzolla, Pozzi) M. di Fano Troiano, dal nome del paese di Fano Adriano (Te), in passato detto Troiano (anche Traiano) che sorge alle pendici del versante nord.

Quanto al toponimo Monte Corvo, esso appare un adattamento piuttosto svisato del nome dato alla montagna dai locali di Nerito (Te) e forse in passato del diruto castello di Chiarino, che è Monte Corno (móndë cùrnë a Nerito), da un diffuso appellativo corno, latino cornuus 'corno', traslato geografico per indicare la forma appuntita della vetta. Tale nome è omofono del più famoso Monte Corno che sovrasta Pietracamela (Te), oggidì chiamato di preferenza Corno Grande (se ne distinguono tre vette, più alcuni torrioni) e Corno Piccolo, in base ad una classificazione entrata in uso con le prime guide CAI e TCI, ad uso soprattutto degli alpinisti ed escursionisti.

Come si vede, la toponomastica delle vette della catena è alquanto trasparente, risalente ad uno strato linguistico a noi vicino, tipicamente romanzo. Non per questo mancano però esempi di una nomenclatura ben più antica, che riporta ad un sostrato prelatino.

Il toponimo maìnu, ad esempio, nome di un colle nei pressi del valico stradale delle Capannelle, in tenimento di Marruci, può essere spiegato ricorrendo ad una formazione *magino, dalla base *mag- che è nota per aver prodotto il coronimo Majella, da un precedente Magella. Questo tema è anche alla base di toponimi quali Mainarde, mentre non vanno inseriti in questa serie i nomi del tipo màina, che riflettono invece una voce imago, -inis 'immagine (sacra)', e quindi la presenza di una cappella votiva. Il significato più volte proposto per il tema *mag- è quello di 'grande', dal che sarebbe spiegata anche la genesi dell'aggettivo latino magnus 'grande'. Le diverse formanti, -ella di Magella e -in- di *magino, però, suggerirebbero un qualche signifcato più concreto, e passibile di derivazioni.

Un'altra importante base prelatina è il tema *mar-, presente nel nome della grotta detta rótta màro a San Pietro e róttammàrë ad Assergi, ben nota agli speleologi. Il significato di tale base, non del tutto chiarito, la rende assai vitale negli oronimi, come confermano diversi nomi di montagne, tra cui il vicino Monte Màrine di Pizzoli (Aq), nonché altri nella catena delle Mainarde, a confine fra l'Abruzzo ed il Molise, la quale a sua volta riprende nel nome proprio quel tema *mag- appena visto.

Incerta è l'appartenenza alla serie dei nomi formati dal tema *cam- del toponimo le camìnole di Collebrincioni, eventualmente attraverso una formazione *camina. Per il tema in questione, che si confronta con il nome della vicina Camarda, potrebbe ipotizzarsi un significato di 'cespuglio'. Infatti, nel lessico e senza etimologia romanza si ha in portoghese cama 'letto', da associare al giaciglio dei pastori ottenuto da piante arboree prone come il ginepro e simili. In molti dialetti abruzzesi, inoltre, cama è la 'pula' del grano. Toponimi quali Camardosa, nella zona di Campo Felice, infine, confermano che camarda doveva essere un sostantivo di senso compiuto.

Tutto sommato, quindi, il sostrato prelatino in quest'area appare stranamente poco produttivo, a confronto, ad esempio, con la vicina sezione di Campo Imperatore: o le ripide balze montane di questo versante hanno scoraggiato nei tempi antichi l'insediamento umano (in epoca romana va segnalato solo il vicus di Prifernum, nei pressi dell'odierna Assergi, oltre a Pitinum-Pettino), oppure l'estensivo sfruttamento pascolativo dei secoli successivi all'anno 1000 ha favorito una rinomenclatura globale del massiccio, che ha permesso la conservazione di un ristretto numero di toponimi.

Vanno a questo punto ricordati i toponimi prediali, derivati dalla proprietà fondiaria, in genere caratteristici dell'epoca tardo-romana o alto-medievale, che sono invece assai numerosi. A Marruci si trova Rotigliano (da Rotilius), ad Arischia Fatubiano (da un personale oscuro) e Valle Bassana (da Bassus), a Collebrincioni Prato Murano (da Maurus) e Pucignano (da Pucinius), ad Aragno Cesarano (da Caesarius) e Colle Enzano (da Enzo), a San Pietro Cese Cagnano (da Cambius), a Filetto Colle Vignano (da Vinius) e Fiammeano (da Flamidius), a Pescomaggiore infine Valle Fiocana (da un personale oscuro). Si tratta, come si vede, di toponimi tutti contraddistinti dalla 'spia' del suffisso prediale -anus/-a, che si applica direttamente al nome personale dell'antico proprietario del fondo.

L'adstrato linguistico germanico, che ha come orizzonte storico prima la calata dei Goti e poi il Regno dei Longobardi e, in misura minore, dei Franchi, è limitato nella toponomastica dell'area ad una voce del tipo guardia (ad esempio ad Assergi, Filetto) e forse una del tipo fara (a Filetto), oltre ad appellativi del lessico e nomi personali.

Viceversa, i nomi che rimandano in qualche modo alla fase storica dell'incastellamento sono diversi. A Marruci è notevole il cocuzzolo detto ju castellànu, sulla cui sommità vi sono ancora dei resti di quello che con ogni probabilità era il 'castello' di Vio, che concorse alla fondazione della città dell'Aquila. Nelle vicinanze, infatti, il valico che si apre fra la catena del Gran Sasso e quella dei Monti della Laga si chiama cróce abbìu, ovvero 'croce a Vio'.

Ad Arischia è oscuro il toponimo castellòmmera, che si riferisce ad una località individuata da una costruzione rurale, di cui peraltro nulla si sa di preciso.

Presso Collebrincioni, invece, sarebbe alquanto suggestiva l'identificazione di un cocuzzolo chiamato castellànu con il sito di un insediamento altomedievale chiamato Orsa, come traslato nel senso di 'la forte', che avrebbe poi dato il nome alla montagna della quale detto cocuzzolo fa parte. Tale identificazione, però, non è, a quanto si sa, avvalorata da nessun elemento certo già noto agli storici.

Ad Aragno non vi è invece traccia toponimica di fortificazioni, nemmeno in relazione al diruto castrum della Ienca, che sorgeva in una valle che oggi appartiene al suo tenimento. Stesso discorso vale anche per San Pietro (della Ienca), esso stesso castrum fondatore, il cui territorio include anche il sito del Vasto, un altro castello diruto.

Anche presso Assergi non sono registrati toponimi del tipo castello e simili, mentre a Filetto si trova la località castellàno, relativa ad un cocuzzolo sito verso i confini con Assergi, ma è probabile che tale designazione sia semplicemente un traslato geografico.

I dialetti

Alla fase 'romanza' della toponomastica locale appartiene, quindi, la maggior parte dei toponimi dell'area. Per quanto riguarda la formazione dei dialetti, va detto che essi ricalcano ancor oggi l'antichissima suddivisione, che correva all'incirca lungo il corso del Raiale, fra popolo Sabino e Vestino prima, poi fra territori e diocesi di Amiternum e di Aveia e, dopo la diruzione di quest'ultima, di Forcona. Successivamente lo stesso confine fu ripreso dai gastaldati longobardi e dalle contee franche di Amiterno e di Forcona stesse, per essere infine superato, ma quando la formazione dei dialetti era sostanzialmente avvenuta, dalla costituzione della città e della diocesi dell'Aquila.

Alla luce di tali intuitive considerazioni, non appare strano che due distinte aree dialettali vadano riconosciute.

a) Per quanto concerne il vocalismo tonico, tutti i centri in oggetto sono stati raggiunti dal fenomeno fono-morfologico della metafonia, da -u e da -i, per il quale la vocale tonica viene alterata per influsso della vocale seguente se questa è una -u (ad esempio, nei sostantivi maschili della II declinazione latina) o, rispettivamente una -i (ad esempio nei plurali di detti nomi ed aggettivi). Il tipo di metafonia qui presente è sempre di tipo sabino: le vocali medio-basse (è, ò) si alterano nelle rispettive medio-alte (é, ó), mentre queste ultime si chiudono ulteriormente in (ì, ù). Nell'area comprendente le circoscrizioni di Camarda (con Assergi, Filetto ed Aragno) e Paganica (con Pescomaggiore), però, le vocali medio-alte restano immuni da metafonia. In questi villaggi si dice, ad esempio, néro, strétto, gelóso, róscio e non, come in area aquilana (circoscrizioni di Arischia e L'Aquila, Marruci) nìru, strìttu, gelùsu, rùsciu. Viceversa, per le vocali medio-basse, in entrambe le aree dialettali l'esito è del tipo béglio/-u, bóno/-u, rósso/-u. Questo fatto è un primo elemento di distinzione fra l'area aquilana e l'area raialese, che in passato faceva compattamente parte del popolo Vestino, della diocesi di Forcona, ecc.

b) Per ciò che concerne il vocalismo atono, si delinea un secondo motivo di distinzione fra l'area aquilana e quella raialese. La prima, infatti, conserva ottimamente l'esito delle -o, -u latine, facendo del resto parte del vasto complesso di parlate umbro-sabine, che di tale fatto linguistico fanno un importante tratto di distinzione. Le parlate raialesi, invece, tendono a conguagliare l'esito delle due vocali, nell'unico -o (anche se per influsso dell'aquilano le generazioni più recenti ripristinano nettamente la -u finale). Addirittura, nei dialetti di Assergi e Pescomaggiore, questo esito coincide con quello della -e, confondendosi nel suono 'indistinto' schwa, indicato tipograficamente con il carattere ë. Si tratta, in questi casi, non di un fenomeno linguistico autonomo, ma di una transizione fra il dominio umbro-sabino ad ovest e quello, ad est, centro-abruzzese (che comincia già da Barisciano), caratterizzato dal generalizzato esito schwa per tutte le vocali atone diverse da -a.

Quest'ultimo fatto, insieme al precedente, configura l'area raialese proprio come sub-area di transizione fra il continuum umbro-sabino-marsicano, dal quale è distinta sia per il diverso vocalismo atono che per il fatto che la metafonia agisce solo sulle medio-basse, ed il continuum centro-abruzzese, ancora per il vocalismo atono e per il tipo di metafonia, che nei centri confinanti appartenenti a questo dominio (Barisciano, e poi Santo Stefano, Calascio, ecc.) è di tipo 'napoletano', con dittongamento delle medio-basse (è, ò > , ).

c) Per quanto riguarda il consonantismo, invece, l'area si presenta piuttosto omogenea: alcuni fenomeni comuni all'intera regione italiana centro-meridionale sono qui ben rappresentati, e pure la palatalizzazione 'tirrenica' dei nessi -li, -lu, -lli, -llu, che altrove costituisce elemento diversificatore, appare qui diffusa in tutti i centri.

Orografia

La catena principale del Gran Sasso costituisce lo spartiacque fra i bacini dei fiumi teramani e quello dell'Aterno, tributario anch'esso del Mar Adriatico. Dall'insellatura della Croce a Vio (1275 m, cróce abbìu a Marruci), nei pressi del valico stradale delle Capannelle, la linea displuviale abbandona la catena dei Monti della Laga, per salire subito alla cima della Montagna di San Franco (2132 m, la mondàgna e sanfràngu a Marruci, sèrre ad Arischia). A questo nodo orografico arriva anche l'altro crinale, che separa le acque della valle di Faschiano da quelle proprie dell'Aterno, il quale dal valico della Croce (1275 m, la cróce a Marruci) continua il Massiccio d'Aielli. Proseguendo verso est, la catena si deprime al valico della Piana dei Cavallari (1789 m, la piàna e cavallàri a Arischia, piàna egli cavallàri a San Pietro), per poi risalire con la cima di Monte Ienca (2208 m, mónde jénga a San Pietro). Al di là della sella del Piano di Camarda (2051 m, piàna de camàrda a San Pietro), c'è ancora il Pizzo di Camarda (2332 m, ju pìzzu a San Pietro), la cresta delle Malecoste (2414 m, lë mmalëcòstë a Assergi) e la piramide di Cefalone (2533 m, cëfalónë a Assergi). Dopo l'importante valico della Portella (2260 m, la portèlla a Assergi) e l'omonima montagna (2400 m), la linea spartiacque si biforca in corrispondenza del Rifugio 'Duca degli Abruzzi'. Un ramo prosegue verso est a separare il bacino di Campo Imperatore dalle valli teramane - e sarà trattato nel Tomo IV -, mentre un secondo ramo devia verso sud scendendo alla sella di Pratoriscio (2085 m, pratarìscë a Assergi) nei pressi della quale si trova l'Albergo di Campo Imperatore. Una nuova elevazione è quella delle Centorelle (2233 m, le scendorèlle a Paganica), seguita dalla mole di Monte Cristo (1928 m, móndë crìstë a Assergi, mónde crìsto a Filetto). Questa cima costituisce un importante nodo orografico, poiché da qui comincia un complesso sistema orografico, che abbraccia verso sudest numerosi bacini endoreici, che saranno trattati nel Tomo IV.

Numerosi sono i sistemi orografici minori che dipendono dalla catena principale, innalzandosi al di là della profonda vallata di San Franco-del Vasto che la ben delimita verso sud. Dalla Montagna di San Franco si stacca dapprima un crinale culminante con il tavolato delle Macchie (1592 m, le màcchje a Marruci), che termina sopra l'abitato di Arischia.

Più ad est, un secondo e ben più importante ramo modella tutta l'area ad ovest del torrente Raiale, innalzandosi con la cima della Stabiata (1650 m, la stabbiàta ad Arischia) e quindi comprendendo un vasto altopiano con la cima del Colle Alto (1553 m, collàuto ad Aragno) e le circostanti regioni dei Paladini (palaìni ad Aragno, ji palaìni ad Assergi), del Precoio (precóju a Collebrincioni), di Pischieta (pischjéta ad Assergi) e della Ienca (la jénga ad Aragno), ed il colle di Santa Barbara (1081 m, sànda bàrbara ad Aragno). Dalla cima del Colle Alto, la linea spartiacque piega decisamente verso ovest, chiudendosi attorno alla regione del Piano del Monte (piànu egliu mónde a Collebrincioni), con la montagna d'Orsa (1374 m, còlle d'órza a Collebrincioni).

Nei pressi dell'abitato di Collebrincioni, tale linea si apre a ventaglio degradando verso la vallata aquilana. Un ramo comprende in sequenza il tavolato del Macchione (1263 m, ju macchjó ad Arischia), la cresta di Pago Martino (1272 m, pàgu martìnu ad Arischia) con la lontana propaggine di Fronte Maggio (877 m, fornemàju ad Arischia), e la Montagna di Pettino (1147 m, la mondàgna e pittìnu a Pettino), separata dalla precedente dal frequentato solco vallivo di Casci (càsci ad Arischia). Un altro ramo è quello che include l'altopiano di Macchia Molina (1171 m, màcchja molìna a Collebrincioni); un terzo ramo si eleva col cocuzzolo di Monte Verdone (1144 m, mond'ordó a Collebrincioni).

Ad est della valle del Raiale, la catena principale non ha più una ben precisa barriera pedemontana, degradando con continuità verso il fondovalle, ed essendo interrotta dai soli intagli della Valle Scura-Valle Fredda (vàllë scùra, vàllë frédda ad Assergi) e dalla valle di Filetto. Attorno alla regione di Fogno (fógno a Filetto), che costituisce un minuscolo bacino endoreico, si trovano le cime di Rofano (1514 m, rófënë ad Assergi, rófano a Filetto), quella del Compistone (1465 m, cumbustóne a Filetto), e della Ruzza (1643 m, la rùzza a Filetto). Quest'ultima ha come appendici la montagna delle Cocce (1302 m, le còcce a Filetto), ed il lungo crinale di Colle Quarosa (1304 m, còlle quaròsa a Filetto) e del Colle Bianchino (1080 m, còlle bianghìno a Filetto) che chiude la valle del Raiale formando la stretta della madonna d'Appari.

Tutti questi gruppi dipendono in realtà da nodi orografici inseriti per comodità nel Tomo IV, e così pure il crinale con il cocuzzolo di Colle Perno (1302 m, còlle pérno a Pescomaggiore), e la regione dei Colli (cógli a Pescomaggiore), le cui pendici meridionali sono solcate dal Vallone Cinque Ciurri (vallóne cìngue ciùrri a Pescomaggiore) e dalla Valle Marra (màlle màrra a Pescomaggiore).

Passando al settore a nord della catena principale, esso ha di notevole l'ossatura che separa la valle del Chiarino dal resto delle vallate teramane. Dalla cresta delle Malecoste, un accidentato crinale si stacca in direzione nord, culminando con il Monte Corno (2623 m, móndë cùrnë a Nerito). Oltre la depressione del Campiglione (ngambijónë a Nerito), la montagna dell'Ortolano si innalza sopra l'omonimo abitato, che però si trova alla sinistra della valle del Vomano.

Fra le due catene ora descritte, si incunea la lunga valle del Chiarino, sul cui versante meridionale si trova il cocuzzolo di Colle Tenne (1429 m, còllë dë ténda a Nerito), la regione boschiva della Macchia di Arischia (la màcchja ad Arischia) e quella delle Solagne (le solàgne ad Arischia). Oltre la crestina che collega le Malecoste con Monte Corno, c'è inoltre la regione di Venacquaro (vënacquàrë a Nerito), orograficamente pertinente al versante teramano del Gran Sasso.